Marco Casagrande (orafo ed archeologo sperimentale) – La svolta nella riproduzione
sperimentale del “tesoro di Domagnano” è stata data dal viaggio al British Museum di Londra, dove su presentazione dei Musei di Stato di San Marino ho potuto visionare e toccare (coi guanti) il tesoro in loro possesso. Mi ha accolto il curatore Barry Ager. La visione è stata lunga e piena di domande. La massa del metallo di alcuni pezzi non permetteva la saldatura col cannello ferruminatorio, occorreva il forno e non potevi tenere in posizione le cellette senza bruciarti o senza imporre involontarie vibrazioni.
La risposta che mi sono dato a questi pensieri è racchiusa in una foto londinese; sto telefonando a San Marino, manifestando dubbi e perplessità. Guardo, laggiù, in fondo, il ponte su Serpentine lake che con la sua forma si sostiene. Anche i divisori delle celle potevano avere quella forma a ponticello durante la saldatura.

Marco Casagrande dopo la visita al British Museum mentre chiama San Marino per esprimere i suoi dubbi
Un po’ di terra refrattaria permette di stabilizzare durante le saldature successive i ponticelli realizzati. Questo tipo di oggetti hanno una struttura di per sé semplice anche se raffinata. Il taglio delle parti non necessarie con una lama o scalpelletto non è difficoltoso, la levigatura con una opportuna pietra di grana media bagnata eguaglia la superficie, il fanghetto ottenuto permette il recupero dell’oro asportato dopo un accorto lavaggio.
Nel dubbio il “Rasoio di Occam” mi toglie le ipotesi aggiuntive e le complicazioni mentali: se riesco a fare una cosa in modo semplice, non ho bisogno di complicare aggiungendo altre nuove ipotesi. Lo stesso vale per le attrezzature, autocostruite, integrate con materiali naturali, con legni di essenze diverse, pietre, foglie…
L’analisi costruttiva di questi gioielli denota anche una spiccata modularità. Si possono costruire separatamente gran parte dei pezzi interni evitando difficili saldature ed inserirli nella struttura portante esponendoti solo poche volte a saldature complicate e pericolose. Se questo era valido per le borchie, ancora di più la modularità è presente nelle “aquile” e nella loro borchia centrale a forma di croce. Le saldature raramente coprono tutto lo spessore dei cloisons e molte celle non sono saldate nel punto di giunzione. La struttura esterna protegge la parte interna e le gemme danno rigidità alla struttura, assieme ai sottofondi minerali che sostengono e livellano le pietre.

Ricostruzione della borchia con l’applicazione della soluzione “a ponticello” escogitata da Marco Casagrande
Questi concetti di modularità e semplicità li ho descritti in alcune pagine di Ornamenta 1 e Ornamenta 2 (1). Le osservazioni costruttive che Alessandro Pacini aveva rilevato su monili etruschi si ripresentavano su quelli goti, dimostrazione che le tecniche semplici hanno diffusione e permanenza nel tempo. Un po’ più complicata la costruzione della “cicala”, con la sua tridimensionalità, con le pietre che corrono anche lungo il bordo, la testa arrotondata. E poi un pensiero. Nella cicala è evidente una riparazione. Tre rivetti sono presenti in altrettante cellette svuotate dai granati che dovevano contenere e trattenere una piastrina con una nuova staffa. Un leggero rigonfiamento fa pensare che sotto ci sia ancora la traccia della staffa spezzata. Ricostruire la spilla primigenia o inserirvi anche la riparazione? Sperimentare la tecnica costruttiva o confrontarsi anche con l’altro orafo? Probabilmente non fu lo stesso che la costruì a dover intervenire nella riparazione. Scelte da archeologo, non da orafo. Ricostruire così come conosciamo, senza dover raddrizzare il becco all’aquila, senza togliere il colpo di vanga nel retro della borchia a testa di guerriero. E così ho fatto. Ma era bravo anche questo riparatore, la scelta delle sferette lasciava leggerezza alla fibula.
P. Bigi (Sezione Archeologica dei Musei di Stato) – Che cosa è quindi l’archeologia sperimentale per Marco Casagrande?
M. C. – Non lo so. Posso provare a dire cosa sono io. Non so cosa sono. Sono orafo quando creo un gioiello. Sono archeologo sperimentale quando provo a pensare come un altro uomo che ha fatto il mio stesso lavoro. Sono allievo quando mi confronto con un archeologo. Sono bambino quando studio, immagino, sogno. Sono un uomo, solo.

Ricostruzione completa del “tesoro di Domagnano” realizzata da Marco Casagrande esposta nel Museo di Stato della Repubblica di San Marino
(1) M. Casagrande, Confronti fra le tecniche attuali e quelle gote: i cloisons romboidali del tesoro di Domagnano, in I. Baldini Lippolis, M. T. Guaitioli (a cura di), Oreficeria antica e medievale. Tecniche, produzione, società, Ornamenta 1, Bologna 2009, pp. 259-269.
M. Casagrande, Lo spillone del tesoro di Domagnano: progettualità ed antico nell’attività orafa, in A.L. Morelli, I. Baldini Lippolis (a cura di), Oreficeria in Emilia Romagna. Archeologia e storia tra età romana e medioevo, Ornamenta 2, Bologna 2010, pp. 327-338.
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MARCO CASAGRANDE: THE “DOMAGNANO TREASURE” RECONSTRUCTION – PART 3
Marco Casagrande (goldsmith and experimental archaeologist) –The turning point in
the experimental reproduction of the “Domagnano treasure” was the trip to the British Museum in London, where – with the references of the State Museums of San Marino – I could study and touch (with gloves, of course) the treasure in their possession. I was greeted by the curator Barry Ager. The viewing was long and full of questions. The metal mass of a few pieces did not allow welding with the blowpipe, requiring the use of the kiln and you could not hold the cells in the correct position without burning your fingers or generating unwanted vibrations.
The answer to my misgivings was enclosed in a photo of a London scene: while I was calling San Marino – expressing doubts and uncertainty – I looked in the distance at the bridge over the SerpentineLake, at its weight-bearing form. Even the cell dividers could have had that bridge-shape during the welding.
A bit of refractory clay permitted to stabilize the small “bridges” made during successive welds. This type of object has a simple structure even if refined. The removal of unnecessary parts with a blade or chisel is not difficult, sanding with a suitable wet medium grade grit stone evens out the surface, the resulting sludge was carefully washed to recovery the gold filings.
Anyway the “Occam razor” principle removed any doubt: if I can do something simply, I don’t need complicate it with additional new hypotheses. As so for the equipment (self-built) made with natural materials, with different types of wood, stones, leaves …
The constructive analysis of these jewels also denotes a strong modularity. You can build most of the interior pieces separately avoiding difficult welds and insert them into the support structure, therefore encountering only a few complicated and dangerous welds. If this was true of the mounts, a greater modularity was present in the “eagles” and in their central boss in the shape of a cross. The welds rarely covered the entire thickness of the partitions and many cells were not welded at the junction point. The external structure protects the inner part and the gems give rigidity to the structure, together with mineral substrates that support and level the stones.
I described these concepts of modularity and simplicity in a few pages of Ornamenta 1 and Ornamenta 2 [1]. The constructive observations that Alessandro Pacini had found on Etruscan jewelry re-present on those of the Goths, demonstrating that the simple techniques had diffusion and permanence over time. A little more complicated was the construction of the “cicada”, with its three-dimensionality, the stones along the edge, its rounded head. And then a thought. In the “cicada” there is an evident repair. Three rivets are present in as many cells that were emptied of the garnets that they should have contained instead holds a plate with a new pin rest. A slight bulge below suggests there is still a trace of the broken bracket. Reconstruct the original brooch or also include the repair? Experiment the construction technique or compare oneself with other jeweler? Probably the goldsmith who built it, was not the same one who did the repair. An archaeologist’s choice, not a goldsmith’s one. Rebuild as we know it, without straighten the eagle’s beak, without removing the shovel strike on the back of the warrior head mount. And that is what I did.
Paola Bigi (Archaeological Section of State Museum) – So what is the experimental archaeology for Marco Casagrande?
M.C. – I do not know. I can try to say who I am. I do not know. I’m a goldsmith when I create a jewel. I’m an experimental archaeologist when I try to think like another man who did the same job as I in the past. I am a student when I compare myself with an archaeologist. I’m a baby when I study, imagine, dream. I’m only just a man.

Completed reconstruction made by Marco Casagrande exhibit at State Museum of the Republic of San Marino
(1) M. Casagrande, Confronti fra le tecniche attuali e quelle gote: i cloisons romboidali del tesoro di Domagnano, in I. Baldini Lippolis, M. T. Guaitioli (eds.), Oreficeria antica e medievale. Tecniche, produzione, società, Ornamenta 1, Bologna 2009, pp. 259-269.
M. Casagrande, Lo spillone del tesoro di Domagnano: progettualità ed antico nell’attività orafa, in A.L. Morelli, I. Baldini Lippolis (eds.), Oreficeria in Emilia Romagna. Archeologia e storia tra età romana e medioevo, Ornamenta 2, Bologna 2010, pp. 327-338.